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Recensione del romanzo: La strada di Cormac McCartny
Recensione tratta dal sito La Tela Nera
 
Parecchi anni fa il cantautore Francesco Guccini scrisse una canzone che parlava di un vecchio e un bambino. I due protagonisti attraversavano un mondo distrutto da una un qualche evento catastrofico, fra torri di fumo e un sole che brillava di luce non vera. Il pezzo era bello, evocativo, sognante, colorato. Una sorta di favola nella favola.

La Strada, il libro di Cormac McCartny, è per certi versi simile come soggetto ma la tavolozza cromatica che l'autore ha scelto per esprimersi sembra tratta da un incubo claustrofobico in bianco e nero. Freddo, duro, tagliente come una katana giapponese.

Se siete facili alla depressione non leggetelo. Se vi sentite tristi, evitatelo.
Se avete sempre necessità di luce, sole e calore, questa storia non fa per voi.

Ma se di recente avete dovuto digerire troppi brutti libri, rifatevi la bocca e concedetevi un testo che sappia riconciliarvi con la lettura. La Strada è scritto da un autore che sa il fatto suo, abbandonatevi alla sua bravura, rilassatevi, prendete un paio d'ore del vostro tempo e leggetelo tutto d'un fiato.

Il romanzo infatti è relativamente breve, ma scorre benissimo. Premio Pulitzer per la narrativa nel 2007, premio James Tait Black Memorial Prize per la narrativa nel 2006.

Cormac McCartny è un vecchietto che conosce come pochi il suo mestiere e non lo scopro certo io, anche se la sua notorietà è per certi versi limitata entro i confini del suo paese. Questo arzillo texano di ottanta e passa anni produce ottime storie, spesso anbientate nel west. Qualcuno ricorderà il film dei Fratelli Coen Non è un paese per vecchi, tratto dall'omonimo romanzo del nostro autore.

Ma torniamo a La Strada.

Un adulto (il padre) e un adolescente (il figlio) procedono verso un indefinito sud nella speranza di arrivare in qualche posto dove il clima sia meno ostile. Lo scenario che attraversano è quello di un territorio sconvolto da un evento che non viene mai precisato. Il primo pensiero corre a una sorta di inverno post nucleare. Il sole è sempre celato da un cielo plumbeo. Gli alberi e le piante sono moribondi, gli animali praticamente scomparsi, mentre gli uccelli sembrano avere goduto di un trattamento migliore perché se ne sono andati chissà dove. In alcuni posti il suolo sembra fuso da un calore immenso che ha impastato assieme corpi umani in fuga. La lotta quotidiana è per cercare di trovare qualche cosa da mangiare o il modo per proteggersi dal freddo e dal gelo che pervade ogni cosa. Si tratta di un mondo allucinante, tutto in bianco e nero, freddo e ostile, disperato. I paesi e le città che incontrano lungo la strada celano per lo più pericoli, raramente regalano scampoli di cibo prodotto nel passato.

Corman sembra l'erede diretto di scrittori come William Faulkner. Il suo stile è asciutto, agile. I dialoghi sono come dovrebbero essere, concisi, botta e risposta, senza eccessivi fronzoli.

Non utilizza alcun segno grafico ai quali siamo abituati allo scopo di racchiuderli ed evidenziarli, ma i personaggi sono principalmente due e non vi sono problemi di interpretazione per capire chi ha detto chi o che cosa. Anzi, il realismo viene accentuato in maniera efficacissima, così come a guadagnarne è il ritmo, che resta elevato anche se spesso la vicenda racconta poco o nulla, se non gli sforzi quotidiani dei due per sopravvivere.

La struttura anche è particolare. I singoli paragrafi sono separati uno dall'altro, quasi si trattasse di microscene cinematografiche da assorbire e meditare una per una.

L'autore riprende e mostra, con puntiglio quasi ossessivo, le azioni quotidiane dei due personaggi annichiliti nell'abbruttimento di una situazione senza alcuno sbocco apparente, dove una semplice scatoletta alimentare rappresenta il passaporto per un giorno di sopravvivenza in più.

A volte fanno degli incontri, ma non è saggio mostrarsi agli sconosciuti, anche perché la carne umana è ricercata e adattissima per attutire i morsi della fame. E quando in una delle innumerevoli case abbandonate i due forzeranno l'accesso a una cantina chiusa, lo spettacolo che si mostrerà loro sarà da autentico film dell'orrore.

Ed è per questo motivo, e per tanti altri, che il padre conserva gelosamente una pistola. Ha solo due proiettili, ma sa che in caso di necessità serviranno per preservare il figlio dagli indicibili orrori nei quali è scprofondato il tranquillo mondo che conoscevano.

Per il padre ogni giorno è un continuo sacrificio. Cerca di fare sopravvivere a tutti i costi il figlio privandosi del cibo e sfiancandosi nella continua ricerca di sostentamento. Immensa è la fatica di trascinare il poco che possiedono contenuto in un carrello di quelli utilizzati per fare la spesa al supermercato.

Il padre difende il figlio, è una cosa naturale, ma c'è anche da dire che il ragazzo porta il fuoco. Se lui rappresenta il passato, il figlio è il futuro. E comunque loro sono i buoni, loro non
mangiano carne umana...

La Strada: un piccolo capolavoro. Un libro che si legge in poco tempo e che resta a lungo a risuonare nella mente.




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